“In base alla mia esperienza,
le persone che si rivelavano
più sagaci e affidabili nei
momenti di crisi erano
sempre quelle che professavano
la più semplice
delle ideologie: l’amore per la vita”.

“Tutti possiamo sopportare il dolore che
deriva dall’essere creature di carne e ossa,
effimere, condannate a morire.
Ma è impossibile rassegnarsi alle sofferenze
inflitte a sangue freddo da altri uomini”.

Ho letto questo libro nella versione italiana pubblicata da Adelphi (una delle case editrici che più mi piacciono per l’estetica delle loro copertine, per il catalogo e, non da ultimo, proprio per le traduzioni) a causa di un mio ingenuo errore, di quelli che si fanno quando ci si butta a capofitto su quella che ci pare essere la risposta corretta senza indagare prima. Ero, infatti, convinta che l’originale fosse in lingua ceca e, dunque, che non sarei riuscita ad andare oltre l’immagine in copertina. Invece, sfogliandolo, scopro che la versione originale è in inglese (Under a Cruel Star – A Life in Prague 1941-1968 – Penguin). Avrei voluto fare un reso, ma alla fine mi sono tenuta la versione tradotta e ammetto che l’ho trovata scorrevolissima, me la sono letta in pochissimo tempo: la traduzione di Silvia Pareschi è ben fatta, armonica e piacevole da leggere.

Che dire di quest’opera di Heda Margolius Kovály (nata Boch nel 1919)? Intanto, che si tratta di un libro di memorie e per me è già un punto a suo favore perché adoro le autobiografie. Poi, ti dico che è la storia di Heda, scrittrice e traduttrice ceca, morta nel 2010, emigrata negli USA nel 1968, quando si avvicina l’ombra cupa dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei russi. Quella che Heda ci racconta è la storia di una vita caratterizzata da oppressione, persecuzioni e limitazioni, intrisa di ostacoli e difficoltà, nella quale non si avanza con passo leggero e la testa tra le nuvole, ma sempre tentennando, alternando (brevi) periodi di luce a lunghi (lunghissimi) attimi di oscurità. 

Il Male bussa per la prima volta alla porta di Heda durante gli anni del Nazismo, quando lei e la sua famiglia, assieme ad un numero impressionante di altri esseri viventi, subiscono le atrocità malvagie e disumane dei campi di concentramento. Non le dà tregua, il Male, e qualche anno dopo tornerà a tormentarla e a devastare quell’equilibrio esistenziale che era riuscita con fatica estenuante a riconquistare. Capiamo immediatamente che il suo è un mondo segnato dall’ingiustizia e dalla diseguaglianza, che soffocano e stritolano la sua vita e quella di tutta la sua famiglia; Heda impara subito che, per salvarsi e provare a salvare anche chi le sta attorno, deve contare innanzitutto su se stessa e le poche risorse di cui ancora dispone quando il nemico decide improvvisamente che la tua vita vale meno della sua e che può trascinarti e sfinirti e ammazzarti anima e corpo a suo piacimento.

Andiamo, però, con ordine. 

Non voglio toglierti il piacere della lettura raccontandoti ogni evento della vita di questa donna, perciò mi limiterò a darti i dettagli più significativi. La storia parte con la deportazione degli ebrei cechi prima in un ghetto, una sorta di campo per i lavori forzati, e poi ad Auschwitz. Mentre leggevo le prime pagine di questo libro, mi sono ritrovata a pensare che, per quanto la storia brutale e abominevole dei lager nazisti sia nota a tutti fino al più macabro particolare, per quante testimonianze uno abbia ascoltato (io ho sempre in mente il racconto della Marcia della Morte di Liliana Segre), non ci si abitua mai a quell’orrore, a quell’odio cieco, insensato, smisurato e ingiustificato, al forte che sovrasta il più debole, all’uomo che annienta lucidamente un altro uomo, all’efferata e gratuita crudeltà di chi in quei campi eseguiva ordini senza mai fermarsi a pensare, forse perché farlo lo avrebbe portato alla follia o forse perché davvero credeva in quell’epurazione maledetta. È fondamentale conoscere questa storia, come è fondamentale conoscere i retroscena di tutti i totalitarismi di cui la Storia umana si è riempita nel corso degli anni, perché il Nazismo è l’emblema del Male supremo, ma non è stato l’unico. Ed Heda lo sa bene.
Unica sopravvissuta della sua famiglia alle torture fisiche e psicologiche di Auschwitz, riesce a fuggire assieme ad altre compagne mentre erano in marcia: i tedeschi, consapevoli dell’avanzata nemica, decisero di lasciare i campi con il solo obiettivo di liberarsi il più in fretta possibile -e senza dare troppo nell’occhio- dei prigionieri, larve umane, corpi vuoti e svuotati, e non lasciare alcuna traccia vivente di ciò che avevano perpetrato fino a poco tempo prima. Heda, dicevo, riesce a scappare e a ritornare nella sua terra natale. Non ha nulla con sé: non ha soldi, non ha cibo e, soprattutto, non ha un’identità, se non quella pericolosa, vergognosa, scomoda e compromettente di ebrea fuggita dalle mani del proprio aguzzino. Non è nessuno e non ha niente, nemmeno una casa dove rifugiarsi; cerca, dunque, riparo bussando alle porte di vecchi conoscenti, ma quei brandelli di vita precedente, a cui cerca disperatamente di aggrapparsi per non affondare, si lacerano definitivamente e nessuno risponderà concretamente al suo sconsolato appello, al suo disperato bisogno di soccorso e solidarietà. Di fronte alla vita e alle sue tragedie l’uomo è spesso solo. Per il timore di subire rappresaglie e vendette nemiche è più semplice girare la testa dall’altra parte che porgere l’altra guancia: la guerra ha cambiato le persone e la paura ne domina scelte e comportamenti. Solo dopo molto vagare Heda trova riparo e aiuto e può, finalmente, riprovare a ricominciare, anche se chiudere col passato è difficile ma necessario per poter guardare avanti. È impossibile (e ingiusto) dimenticare, quando ricordare diventa una forma di resistenza al potere, di ribellione e testimonianza, un grido di vita, ma bisogna anche ricordare che vivere è guardare avanti; soprattutto in un’epoca difficile e ostile come quella descritta nel libro diventa di vitale importanza potersi fidare di pochi e sentirsi al sicuro, celare se necessario, ma mai permettersi di rinnegare le proprie origini per non fare un torto a chi non ce l’ha fatta, a chi sotto quei cieli plumbei è morto e si è involontariamente spezzato, a chi si è volontariamente lasciato andare per non soffrire e vedere più l’agonia desolante e raccapricciante che lo circondava.
Heda ritrova anche l’amore di un tempo, Rudolf Margolius, col quale si sposerà e avrà un figlio, Ivan, anche lui ebreo finito nei lager, uomo dai saldi principi politici e sinceramente convinto che l’avanzata del Comunismo possa essere la strada giusta verso la rinascita e la rivincita della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza dopo anni di barbarie e abusi di ogni genere. Entra a pieno titolo nel partito, Rudolf, e arriva ad un’alta carica nel Ministero degli Affari Esteri, circondato da uomini che tra loro si chiamano “compagni”, devoto corpo e anima alla causa, entusiasta e leale sostenitore degli ideali comunisti. Mentre lotta per dare voce al suo credo, ignora i sospetti che stanno crescendo e le voci che iniziano a diffondersi circa una nuova ondata di repressione/oppressione ai danni del popolo e di alcuni membri del partito stesso. Accecato dalla fedeltà ai valori e ai principi del Marxismo nella sua forma più pura, Rudolf non ammette nemmeno a sé stesso che qualcosa sta cambiando in peggio e che ad aspettarlo c’è la peggiore delle conclusioni: l’“epurazione” sarà la nuova stella crudele nella vita di molti cechi, compresa la sua e quella della sua famiglia. Non lo ammette, ma lo intuisce, Rudolf, si agita, perde il sonno e lavora senza sosta con tenacia, serietà e caparbietà, mentre si rende sempre più conto che la sua lotta per la democrazia ha davanti a sé nuovi e altissimi muri da abbattere, notti di sospetti e ansie, di campanelli che suonano e uomini strappati alle loro famiglie senza apparente motivo. E sarà proprio lui, nel 1952, a diventare uno di questi uomini, quando viene arrestato e finisce tra gli accusati nel processo contro il segretario generale Slánsky. Per Heda è nuovamente la tempesta dopo la pace personale faticosamente ricostruita e la riappacificazione -altrettanto faticosamente ritrovata- con la società praghese; ricade nell’inferno della solitudine, della precarietà e dell’inganno, dell’isolamento che condanna lei e Ivan a vivere da reietti, da paria, con l’unica “colpa” di essere la moglie ed il figlio di un condannato, di un “compagno” che subdoli giochi di partito e di infimo potere hanno trasformato in nemico del suo stesso credo. Heda rivedrà Rudolf solo la notte prima dell’esecuzione ed è toccante l’eleganza e la delicatezza con cui questa donna, più volte ferita e piegata dalla vita, riesce a raccontare l’ennesima ingiustizia, l’ennesima dimostrazione che il Male sta a destra come a sinistra, che ogni regime che limiti e tolga la libertà di pensiero e che abbia bisogno della forza e del controllo asfissiante per governare non è un buon partito, che la vita umana può essere tolta a piacimento e strumentalizzata per dimostrare dove sta chi comanda, per evidenziare che solo pochi hanno diritto di parola e di decisione e che tutti gli altri devono abbassare la testa, lavorare, eseguire ordini e possibilmente non pensare e non interferire coi piani del partito. È un mondo oscuro e ottusamente gerarchizzato, quello che segue la famigerata “rinascita comunista”, fatto di burocrati rinchiusi nei loro palazzi, di ruoli ben definiti e studiati, di sacrifici e sacrificati, di immutabilità e sottomissione. Impossibile, mentre si leggono le pagine dedicate all’oppressione comunista e ai processi farsa, alle confessioni estorte con la tortura, ai funzionari cechi e sordi che sanno solo eseguire macchinalmente e sterilmente il proprio compito, alla paura che si muove felina, all’impossibilità di fidarsi degli altri, tutti possibili vittime e tutti possibili carnefici, non ripensare a “Il Maestro e Margherita” e a tutta l’allegoria dello Stalinismo che Bulgakov sapientemente ricostruisce nella sua opera maestra, o all’atmosfera ambigua e opprimente del film “Le vite degli altri”. 

Solo il matrimonio con Pavel Kovály salva lei e Ivan da morte certa, da abbandono sociale e miseria. Heda può ricominciare a respirare senza boccheggiare, anche se per molti anni dopo la morte di Rudolf continuerà, indomita, a cercare la verità e smuovere le acque, per far sapere al mondo che suo marito e molti altri uomini sono stati inghiottiti da un vortice di nera assenza e sono morti innocenti dopo aver subito sevizie, dopo essere stati traditi dai propri “compagni”, dal sistema che li aveva scelti ed accolti, dopo la solitudine e la gogna sociale.

Nel 1968 arrivano i russi a dominare e controllare i moti della Primavera di Praga, il risveglio definitivo delle coscienze, la rabbia e l’orgoglio dei giovani, figli di una società che ha fagocitato i loro padri, ammalato le loro madri e rubato loro l’infanzia, che ora chiedono un riscatto, chiedono che chi ha derubato il bene più importante, la Vita, sia disposto a cedere e confessare e pagare gli interessi. Purtroppo, così non sarà e una nuova occupazione si affaccia alle porte di Praga; allora Heda, stanca di combattere, decide di andarsene da quella Cecoslovacchia che ha rincorso per molto tempo e che non ha mai voluto riaccoglierla incondizionatamente tra le sue braccia.

Coi toni pacati di chi ha visto e vissuto troppo per permettere ai propri sentimenti di prendere il sopravvento, senza patetici sentimentalismi né vittimismi, Heda ci porta, attraverso la sua personale esperienza, a riflettere sul concetto di democrazia, su quanto a volte la stessa fiducia nel cambiamento sia il motore che porta al fallimento, sulla facilità con cui ci illudiamo che le cose possano solo migliorare dopo aver raschiato il fondo, dopo che peggio di così non potrebbe andare. Il destino la tormenta instancabile, ma lei celebra la Vita e diventa, ai miei occhi, modello di resilienza, di forza d’animo e volontà, di caparbietà, di donna che non si arrende ai fatti e che per amore suo, del figlio, della libertà democraticamente intesa e della verità, è pronta a lottare anche quando le forze vengono a mancare, anche quando tutto e tutti remano in direzione opposta e contraria, anche quando l’oscurità degli abissi è più vicina che mai. Questo libro è il racconto lucido e reale di un pezzo di Storia e fa luce sulle ombre di un regime di cui si parla poco; è la testimonianza di una donna coraggiosa che ha subito e sofferto molto ma che dopo ogni terribile caduta ha saputo ritrovare le forze per alzarsi e ricominciare da capo, a passi incerti, ma sempre guidata da una enorme voglia di vita e speranza.

Ci sentiamo presto… e non dimenticare di condividere!