“Why can’t a woman
be more like a man?”“Certain men, who have grown up in
a culture saturated
by men voices and men faces,
fear what they see as women taking away power
and public space that is rightfully theirs.
This fear will not dissipate until
we fill in that cultural gender
data gap, and, as a consequence,
men no longer grow up seeing the public
sphere as their rightful domain”.

“Eye-opening”. È questa una delle recensioni ad effetto sulla copertina della versione in lingua originale del saggio di Caroline Criado Perez, edito da Penguin e pubblicato in Italia da Einaudi col titolo “Invisibili”. E che questo libro sia “eye-opening” è fuori discussione: col coraggio di chi racconta la verità dati alla mano e la sapienza di chi il proprio lavoro da giornalista d’inchiesta lo sa fare per davvero, l’autrice ci accompagna in un viaggio fatto di statistiche, numeri e informazioni più o meno sconcertanti che ci mettono faccia a faccia con una versione al microscopio della nostra società e tutte le sue svariate sfaccettature.
È un libro che fa riflettere, questo di cui ti parlo oggi, uno di quei libri che cambiano irreversibilmente il tuo modo di approcciarti al quotidiano. E poi è ben scritto, sapientemente costruito e centrato e questo è un valore aggiunto.
Se, come me, sei donna, avere la conferma di essere più o meno “invisibile” non ti sconvolgerà di certo (in fondo questo lo sai e lo hai sempre saputo, perché sin da piccole ci sentiamo ripetere che dobbiamo essere così e non cosà, che questo per noi non va bene e che per bene apparire un po’ bisogna soffrire); tuttavia, c’è qualcosa in questo saggio che ti farà sentire ancora più insignificante e diversa e incompresa e invisibile nel mare magnum che è l’universo sociale che ti circonda. Man manco che la lettura procede, mentre la Perez, con fare distaccato ma non troppo, sciorina dati e inchieste, capirai definitivamente che la sensazione di disagio e inadeguatezza che a volte ti accompagna non è il semplice retaggio delle società del passato, ma il risultato primario dell’impostazione fallocentrica della stessa società occidentale, capitalista, globalizzata e super moderna in cui vivi.
Questo mondo che ci sembra così cambiato, così diverso da quello delle nostre mamme e nonne, convinte come siamo che il Femminismo sia ormai arrivato a raggiungere il suo principale obiettivo -la parità di genere- e che sia solo un ridicolo manierismo fuorimoda, non è l’Eldorado che amiamo (e amano) raccontarci. E se per certi aspetti questa diseguaglianza nella forma e nel trattamento è del tutto evidente, ce ne sono molti altri in cui la dominanza della componente maschile nelle radici della nostra società agisce in modo mooolto più subdolo, plasmando il nostro inconscio e modellando il nostro vivere su schemi che poi così neutri e neutrali non sono. Il genere neutro dovrebbe esistere come genere super partes, per il bene di tutta la comunità sociale, garante del benessere di ogni cittadino e di ogni cittadina, indistintamente, ma il problema, spiega magistralmente e con grande competenza Perez, è che così non è e quel genere neutro, in realtà, non è altro che un modello maschile mascherato e maldestramente camuffato, che goffamente prova a funzionare da modello unico in un mondo in cui i cittadini sono diversi per il semplice motivo di essere UOMINI e DONNE. Si dice che gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere. Invece di considerare questa affermazione solo quando ci fa comodo o per fare della becera e insulsa psicologia spiccia, dovremmo coglierne la profonda verità: davvero non c’è nulla di più diverso di un uomo e una donna e non solo psicologicamente ed emotivamente ma anche biologicamente. Ed è proprio da questa certezza che la società dovrebbe ripartire per ricostruirsi e rifondarsi su nuove basi quali l’equità e la parità non solo quando e dove fa comodo, non solo di facciata.
Perez è maestra nell’illustrarci tutti quei piccoli -piccolissimi- aspetti della quotidianità nei quali la parità di genere funziona tanto quanto una coperta corta che due persone tirano contemporaneamente per i lembi nel tentativo di scaldarsi; dalla medicina, alla vita sociale, passando per il mondo del lavoro, la tecnologia e l’economia, non c’è aspetto della nostra vita che si salvi dall’indagine scrupolosa, nitida, centrata e feroce della nostra autrice, che è donna e che usa e sfrutta appieno questa sua identità femminile per raccontare quanto sia difficile e stancante e limitante vivere in un mondo disegnato non a misura di essere umano, ma di giovane maschio (alfa e caucasico) adulto. Il mondo e la società in cui viviamo non sono stati pensati per le donne; affondano le loro radici nell’idea inconscia che il punto di partenza è l’uomo, ma non l’uomo inteso come essere umano, bensì l’uomo inteso come essere umano di sesso maschile, possibilmente bianco, possibilmente giovane e possibilmente pure prestante. L’altra metà della popolazione, ossia le donne, sono da sempre state relegate ai margini e costrette ad accontentarsi di un sistema che non sa tutelarle e prendersi cura di loro appieno fondamentalmente perché non le hai mai capite e ascoltate per davvero. Rileggendo la nostra storia e analizzando le mie battaglie quotidiane, anche le più insignificanti come quella contro una bottiglia di acqua troppo dura da aprire, partendo proprio da questa prospettiva, il mio universo si è completamente ribaltato e ho capito per davvero e fino in fondo cosa significhi essere donna in un mondo basilarmente -e non sempre consapevolmente- maschilista: significa essere sempre fraintesa e svantaggiata, significa dover lottare per adeguarsi a degli standard che si basano su capacità e strumenti e forza fisica che non mi appartengono in quanto donna e non uomo.
Mentre la lettura avanza è impossibile non riconoscersi, non pensare a qualcosa che si è vissuto, non dire “cavolo, ma sai che hai ragione, cara compagna Perez?”. E allora, perché non ci abbiamo pensato prima? Lo sappiamo benissimo, che il mondo in cui viviamo è maschilista e patriarcale, allora perché ci siamo bevute la storia dei passi avanti e la parità e bla bla quando le mestruazioni sono ancora un tabù e paghiamo l’IVA sugli assorbenti? Sarebbe tutto terribilmente più semplice e lineare se fossimo tutti uguali, se tutti corrispondessimo perfettamente al modello assoluto; diversità, però, vuol dire tolleranza e accettazione di sé e dell’altro e fare il bene di tutta la collettività vuol dire occuparsi di ogni suo componente, uomo o donna che sia, avere cura delle sue caratteristiche e dei suoi bisogni non per omologarlo ma per valorizzare e proteggere proprio questi suoi aspetti così diversi, così “fuori dagli standard”.
Se ci pensiamo, tutte noi siamo state più o meno discriminate nella vita. A me, ad esempio, è successo di sentirmi chiedere ad un colloquio di lavoro se avessi l’intenzione di fare dei figli e di pensare cosa centrasse tutto questo con le mie capacità professionali. Perché non importa fino a dove sia giunta l’emancipazione femminile, quello che davvero conta è quanto ci sia ancora da fare, da ripensare, riorganizzare e ricostruire. Anche per questo servono più donne in politica, per pensare alle donne e a tutte le loro piccole e/o grandi battaglie quotidiane, per agevolare la loro intensa vita di madri, figlie, mogli, amiche e lavoratrici, per farle sentire meno abbandonate quando l’unica possibilità di scelta è il lavoro o i figli, è escludere invece che includere.
Perez chiede un cambio di prospettive enorme, me ne rendo conto. Ci chiede di girare il mondo dall’altro lato e guardare in faccia anche i più piccoli ostacoli, magari provando davvero a camminare con le scarpe degli altri; ci chiede di non essere troppo severe con noi stesse, che se una volta diventate madri ci sentiamo sopraffatte e imperfette è perché da sole portiamo un carico di lavoro e stress enorme e che finché la società penserà che una madre è madre solo se rinuncia a qualcosa di sé stessa per i propri figli, c’è qualcosa che non torna. Che prima di essere esseri umani siamo donne. E non viceversa. Perez chiede anche un’altra cosa; chiede, seppur implicitamente, che le donne si coalizzino, che capiscano di navigare tutte sulla stessa barca e che se anche loro pensano che una donna troppo in carriera sia stronza e acida e frigida è perché sono loro stesse figlie di un sistema culturale che ci vuole docili e mansuete e volitive e sexy e madri e mogli e altre mille cose assieme ma mai e poi mai donne in carriera, di successo e madri e mogli e molto altro ancora.
Consiglio questa lettura anche a te, caro uomo, perché potrai capire le donne che ti stanno attorno, coglierne con maggiore consapevolezza le difficoltà e le battaglie, anche quelle più stupide della banalità del quotidiano. E, forse, dico forse, questa lettura serve a tutti noi per accettare che il Femminismo non deve morire e che non serve pensare a grandi conquiste per migliorare il mondo del “sesso debole”: basterebbero solo pochi, ma giusti e mirati, gesti di empatia. Non dobbiamo più permettere a nessuno di dirci come dobbiamo apparire, dovremmo essere libere di essere e basta, senza limitazioni o barriere o costrizioni.
Ah, leggilo in V.O. solo se il tuo inglese non è maccheronico.